Roberto Manfrin

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Roberto Manfrin
<<VSV:1990>>
A cura di Edoardo Di Mauro



L'esigenza di ricercare e verificare nuove possibilità espressive ha indotto l'ultima generazione artistica ad un'attività dai ritmi frenetici che, se da un lato ha provocato un indubbio allargamento della "base creativa", dall'altro ha generato un tasso di confusione fruitiva non indifferente. Peraltro in questi anni è un gioco l'esigenza di un rinnovamento profondo delle concezioni estetiche imperanti.
Il '900 è stato il secolo in cui l'arte, finalmente svincolata da limiti di vario genere grazie alla rivoluzione industriale e tecnologica che ha caratterizato questi decenni ha potuto formulare un radicale cambiamento del suo statuto formale attraverso una sperimentazione incessante di cui sono note le varie fasi sino al finire degli anni '60.
E' allora che si esaurisce una propulsività sostanzialmente ininterrotta ed il linguaggio inizia a ripiegarsi su sè stesso ripercorrendo gradualmente il passato più recente quasi a volerlo meglio comprendere. L'arte diviene conscia di come la categoria dell' "inedito" in quanto tale non sia più confacente l'attualità. La derivante è un totale e coinvolgente rimescolamento delle carte che impone la pratica della citazione come elemento portante di una prassi rinnovata e quindi attuale. Una citazione che, per mantenere intatta la propria efficacia, non deve essere fine a sè stessa viceversa sapendosi ricontestualizzare in un presente non privo di novità e di stimoli.
Le vicende che hanno caratterizzato la seconda metà degli anni '70 e i primi '80, come il ritorno della pittura e, più ampiamente, di quella manualità lungamente elusa sono piuttosto note e non necessitano, in questo caso, rievocazioni dettagliate. Esigenza della mia attività critica ed organizzativa è quella di far luce sulle non semplici istanze espressive di quest'ultima generazione che si è prepotentemente imposta all'attenzione degli addetti ai lavori in questi ultimi anni proponendo, come prima citato, una gran mole di lavoro ed una conseguente serie di ipotesi stilistiche ancora non del tutto definite, ad onta dell'ampio numero di occasioni espositive che hanno caratterizzato l'ultimo periodo. Comune prerogativa dell'arte di questi anni è la rinnovata volontà di riflessione attorno alle modalità del fare artistico, una "nuova concettualità" che si fregia di una notevole dose di disinibizione formale attingendo a piene mani dal pingue immaginario estetico contemporaneo.
Elemento evidente è pure la constatazione dell'esistenza di una "triade" formale abbastanza ben definita: un'area "neofigurativa", una "astratta" ed una terza che potrebbe definirsi "oggettuale". A quest'ultimo ambito, che comprende anche lo specifico della scultura, può ascriversi anche il lavoro di Roberto Manfrin, il giovane protagonista di questa personale presso la galleria VSV, un operatore che ha già avuto modo di caratterizzarsi positivamente tramite l'originalità della sua produzione. Facevo prima cenno all'esigenza attuale di confronto del privato codice dell'arte con l' "esterno" tecnologico e massmediale che ci propone senza pausa simulacri di varia foggia. Questo è proprio l'elemento portante della riflessione e della pratica dell'artista veneto, che appare in grado di rivitalizzare un linguaggio come quello della scultura che alcuni decenni or sono, in tempi non sospetti, venne definito "morto".
Scorrere, con lo sguardo e la mente, le opere prodotte da Manfrin in questi ultimi anni, a partire dal 1987, evidenzia senza equivoco la sua graduale maturazione formale. Ai lavori iniziali, in cui era elemento portante l'uso della pellicola cibachrome, forse eccessivamente debitore di certi formalismi di derivazione pop quindi parzialmente irrisolti dal punto di vista della definizione del linguaggio, si sono succedute installazioni più marcatamente "scultoree", agili e spazialmente definite, in cui la componente sintetica e, generalmente, "astratta" è evidente.
Sempre presente l'intromissione dell'elemento primario della luce e del magnetismo che delimita l'intento formale di Manfrin della definizione di una "nuova immagine", ubiquamente collocata tra presente, passato e futuro che costituisce l'esistenza prima dell'arte degli anni '90. L'elaborazione propostaci dall'artista appare come una delle proposte più serie e consapevoli, filologicamente circoscritte, che è stato dato vedere in questi anni.

Edoardo Di Mauro, febbraio 1990

 
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